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Il liceo delle Scienze umane “Trebbiani” è tornato nel mirino. Nelle ultime ore l’edificio è stato ancora una volta teatro delle scritte offensive e denigratorie, indirizzate alla stessa studentessa che, già nei mesi passati, era stata presa di mira da una sequenza di episodi simili. Un fatto che riapre una ferita mai chiusa e che lascia un messaggio inquietante: nonostante la condanna pubblica e la solidarietà espressa, c’è chi continua a colpire.
A rendere l’accaduto ancora più pesante è il contesto. Le scritte sono comparse proprio nel giorno dell’assemblea d’istituto e dello scambio di auguri tra ragazzi, un momento che dovrebbe rappresentare la parte migliore della vita scolastica: confronto, partecipazione, senso di comunità. Invece, per qualcuno, quella cornice è stata scelta per trasformare un luogo educativo in uno spazio di intimidazione e umiliazione.
Non è un episodio isolato, e non lo era nemmeno in passato. In città, già altre volte, scritte con lo stesso tono e la stessa matrice avevano suscitato indignazione e una reazione corale: studenti, istituzioni, associazioni e cittadini avevano preso posizione, manifestando vicinanza alla giovane e condannando con decisione un gesto ritenuto vile, sessista e inaccettabile.
Eppure l’azione si è ripetuta. Con modalità analoghe e, soprattutto, con lo stesso bersaglio. Un accanimento che supera il semplice vandalismo e assume i contorni di una persecuzione reiterata, resa ancora più grave dall’anonimato di chi agisce e dall’effetto di isolamento che può produrre sulla vittima.
Ora la richiesta è chiara: non può bastare ripulire i muri e archiviare tutto come un fatto di “ragazzate”. Occorre fare piena luce sui responsabili, ribadire che certi comportamenti non sono tollerabili e rafforzare, dentro e fuori la scuola, un presidio educativo e culturale contro ogni forma di violenza verbale.
Perché una scuola non è soltanto un edificio: è il luogo dove si costruisce rispetto. E quando quel rispetto viene calpestato, riguarda tutti.
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