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Nel cuore del centro storico di Ascoli Piceno, la storica Chiesa di Santa Maria Intervineas è finita sotto la lente degli esperti per il rischio idrogeologico che interessa l’area circostante. A evidenziarlo è uno studio dettagliato condotto dall’Ufficio Speciale Ricostruzione – Settore Ordinanze Speciali, che ha individuato la presenza di un fenomeno franoso attivo a ridosso dell’edificio religioso, classificato nel PAI con codice 10001-H3.
«La presenza di un rischio idrogeologico attivo in quest’area richiede un approccio rigoroso, fondato su conoscenza tecnica, attenzione costante e lungimiranza» ha dichiarato il Commissario alla Ricostruzione, Guido Castelli. «La sicurezza delle persone e la tutela del nostro patrimonio sono priorità assolute: per questo, ogni intervento è guidato da criteri di sostenibilità e prevenzione, affinché la ricostruzione non sia solo un ritorno al passato, ma un investimento consapevole nel futuro».
L’indagine, condotta attraverso rilievi topografici, sondaggi, indagini geofisiche e modellazione 3D, ha accertato che il movimento franoso interessa la scarpata che collega il terrazzo urbano con il letto del fiume Tronto, circa trenta metri più in basso. Le cause? Un substrato geologico instabile, formato da arenarie e marne fratturate, aggravato da infiltrazioni d’acqua piovana e da vecchie condotte fognarie in disuso, che ancora oggi agiscono come canali di drenaggio sotterraneo.
Negli anni passati sono stati effettuati diversi interventi di contenimento – tra cui micropali, gabbionate, tiranti e reti metalliche – ma secondo gli esperti non sono più sufficienti a garantire una mitigazione completa del rischio. Per questo, l’area è stata classificata con “ri-edificabilità condizionata”: sarà consentita solo la ricostruzione di edifici preesistenti, subordinata però alla messa in sicurezza delle fondazioni.
I tecnici incaricati raccomandano una serie di opere prioritarie per assicurare la stabilità dell’area. Tra queste, il rafforzamento corticale della scarpata attraverso chiodature e sistemazione delle protezioni esistenti, la realizzazione di drenaggi sub-orizzontali per impedire l’accumulo d’acqua nel sottosuolo, e il potenziamento delle reti idriche e fognarie, spesso obsolete e soggette a perdite.
Inoltre, si rende necessario il monitoraggio continuo del tratto di alveo del Tronto nei pressi del Monastero di San Onofrio, dove è stata rilevata una preoccupante accelerazione della corrente fluviale. Sebbene allo stato attuale non vi siano segnali di erosione critica, gli esperti avvertono che la situazione potrebbe peggiorare col tempo.
L’obiettivo è chiaro: coniugare la salvaguardia del patrimonio storico e religioso con la sicurezza idrogeologica, attraverso una pianificazione tecnica integrata e consapevole. Come sottolineato da Castelli, «solo così la ricostruzione potrà essere davvero duratura e al servizio della comunità».
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