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L’Appennino centrale, duramente colpito dal sisma del 2016, si sta trasformando in un vero e proprio laboratorio nazionale dove sperimentare nuove strategie di ricostruzione e prevenzione. È quanto ha affermato il Commissario Straordinario per il sisma 2016, Guido Castelli, intervenuto all’Acquario Romano in occasione della seconda Giornata Nazionale per la prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, promossa dai Consigli Nazionali degli Ingegneri e dei Geologi.
Castelli ha evidenziato come l’area del cosiddetto “cratere sismico” – che si estende su una superficie di circa ottomila chilometri quadrati – rappresenti un caso emblematico in cui si intrecciano emergenze di tipo sismico, climatico e demografico. Un contesto che ha imposto un cambio di paradigma: non più una ricostruzione fedele al passato secondo il principio del "com’era e dov’era", ma una rigenerazione dei territori all’insegna della sicurezza, intervenendo dove realmente possibile e in condizioni di sostenibilità.
Da questa nuova visione sono scaturite una serie di iniziative concrete, orientate al controllo e alla messa in sicurezza del territorio. In collaborazione con l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), è stata condotta un’intensa attività di mappatura delle faglie attive, per individuare con precisione le zone da considerare sicure per la ricostruzione. Parallelamente, grazie al lavoro con l’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Centrale e cinque università locali, si è proceduto alla revisione di centinaia di aree a rischio frana, classificandole secondo i gradi di pericolosità più elevati (P3 e P4). Gli studi hanno interessato ben 242 scenari di frana, per un totale di oltre mille fenomeni analizzati.
Il Laboratorio Appennino Centrale si avvale inoltre delle più moderne tecnologie: dalle rilevazioni GPS ai droni, passando per i laser scanner e le piattaforme mobili di mappatura. Un progetto congiunto con l’Abdac (Autorità di Bacino) mira al monitoraggio capillare della rete idrica, mentre sistemi integrati di osservazione satellitare e sensori a terra consentiranno di tracciare in tempo reale dissesti, variazioni idriche e micro-movimenti in infrastrutture cruciali come ponti, edifici pubblici e arterie stradali.
“La sfida della ricostruzione può diventare un’occasione di crescita per tutto il Paese – ha concluso Castelli –. Dall’emergenza nasce l’opportunità di testare soluzioni all’avanguardia, replicabili anche in altri contesti ad alto rischio. L’Appennino centrale, da area fragile, può diventare modello di resilienza e innovazione”.
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